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Eredità e collazione: errori da evitare

Se i genitori donano ad un figlio un appartamento, tutti quanti in famiglia pensano che sia “per sempre”, vale a dire che questa disposizione non sia più discutibile da nessuno, fatti salvi i diritti di legittima. Ma è proprio vero? Intendiamo qui mettere a fuoco un istituto giuridico assai poco noto e che si chiama “collazione”.

Il termine collazione significa “raccogliere”, “radunare”. La “raccolta” si riferisce a tutto quanto sia stato donato durante la vita del defunto: di tutte queste donazioni si compie una vera e propria “somma” allo scopo di conferirle nella massa ereditaria. Così dispone l\’art. 737 cod. civ., ai sensi del quale i figli (nonchè i loro discendenti) ed il coniuge che concorrono alla successione devono conferire (salva la dispensa di cui si dirà) ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione, direttamente o indirettamente.

La disposizione sarebbe fondata sul fatto che il donante, disponendo in vita, abbia voluto effettuare una sorta di anticipazione delle attribuzioni ereditarie e che tra i coeredi vi debba essere una parità di trattamento. Dunque, una volta morto il donante, i lasciti dovrebbero essere “pareggiati” tra i figli e la divisione di tutti i beni dovrebbe riguardare non soltanto quelli lasciati dal defunto, ma a questi dovrebbero aggiungersi quelli da lui donati quando era in vita.

Parlando in termini meno “legali” e più vicini alla vita di tutti i giorni, possiamo fare un esempio. Pensiamo a Giulio, che ha donato al figlio Paolo un appartamento e al figlio Marco una somma di denaro pari a 30.000 euro. Giulio muore, lasciando come eredi i tre figli Paolo, Marco e Francesco (al quale nulla è stato donato dal padre in vita) ed un patrimonio composto da altri due appartamenti e un conto in banca sul quale sono depositati 60.000 euro. Ebbene: cosa succede, facendo l’ipotesi in cui Giulio non abbia lasciato alcun testamento? A questo punto scatta la “collazione”, vale a dire l’obbligo per legge a carico di chi tra i coeredi ha ricevuto donazioni durante la vita dell’ereditando, di conferire quanto donato alla massa ereditaria.

In parole povere, Paolo dovrà “restituire” alla massa ereditaria l’appartamento e Marco “restituire” la somma ricevuta di 30.000 euro. Una volta composta questa massa ereditaria, che a questo punto sarà costituita non soltanto dai due appartamenti e dal conto in banca che Giulio, morendo, ha lasciato, ma anche dall’altro appartamento già donato al figlio Paolo e dalla somma già donata a Marco (che, dunque, si può ben dire che “tornino indietro”), si potrà proseguire con la divisione dei beni ereditari tra i tre figli, che sono tra loro coeredi.

Insomma: un bel pasticcio, anche perché normalmente questa situazione che si può creare non viene neppure lontanamente immaginata né dai genitori che fanno una donazione ad un figlio, né da quest’ultimo. Spesso le cose si complicano ulteriormente. Infatti non è certo una cosa infrequente che il figlio, una volta ricevuta la donazione dell’appartamento, provveda a ristrutturarlo, ad ampliarlo o, comunque, a sistemarlo a proprie spese o, addirittura, anche con l’apporto economico della sua ragazza, moglie o compagna. È chiaro che se, una volta venuto meno il padre che ha fatto la donazione, Paolo e la moglie fossero costretti a trasferire alla massa ereditaria la casa che con fatica hanno rimesso a posto ed il cui valore a questo punto è quasi interamente riconducibile agli oneri di ristrutturazione che hanno affrontato, più nessuno oserebbe affrontare l’avventura di ricevere un bene per donazione dai genitori.

Va chiarito, a questo punto, che la “collazione”, vale a dire questo trasferimento del bene donato alla massa ereditaria può essere eseguita o propriamente riportando la proprietà del bene all’interno della massa ereditaria da dividere tra i fratelli (nell’esempio fatto) oppure, più semplicemente, trasferendo alla massa ereditaria il valore in denaro del bene calcolato al tempo dell’apertura della successione. Riprendendo il caso di Paolo, costui può scegliere liberamente se cedere l’appartamento alla massa in comune con i fratelli oppure conferire a tale massa l’equivalente in denaro del valore dell’appartamento. Si può dunque trarre un sospiro di sollievo? In un certo senso la risposta è positiva, ma se, come detto, l’appartamento è stato ristrutturato a cura e spese di Paolo, come fare a scomputare il valore di tali opere dal valore dell’immobile? Spesso al giorno d’oggi, in un periodo di prezzi calanti, si possono avere amare sorprese.

E allora? I rimedi esistono, ma occorre conoscerli. La legge prevede (art.737 cod.civ.) che colui che dona il bene, nell’occasione, possa anche dispensare dalla collazione il beneficiario della donazione. Cosa significa? Vuol dire che, per effetto di tale dispensa contenuta nell’atto di donazione, quando il donante passerà a miglior vita, il suo erede che ha ricevuto la donazione non sarà più tenuto a conferire alla massa ereditaria quanto ricevuto in donazione precedentemente. Dunque se papà Giulio, donando a Paolo l’appartamento, contestualmente lo dispensa dall’obbligo della collazione, quando Giulio non ci sarà più, Paolo non dovrà né trasferire alla massa da dividere con i propri fratelli quanto ricevuto dal padre, né sarà obbligato a conferire a tale massa l’equivalente in denaro.

Ecco perché, quando si pensa di fare una donazione al proprio figlio occorre ponderare bene tutti gli aspetti e curarsi di ogni dettaglio: altrimenti si corre il rischio di “far tornare indietro” quanto oggetto della donazione con effetti davvero poco piacevoli e, soprattutto, per lo più non desiderati e davvero non voluti da nessuno, né da chi voleva produrre per il proprio figlio un beneficio duraturo, né da parte di quest’ultimo, che non intende certamente aver poi da discutere con i fratelli.

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Daniele Minussi – contattami per una consulenza

 

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